Marco Pontoni, scrittore e giornalista bolzanino, ha intrapreso una nuova entusiasmante avventura che unisce le sue passioni per la scrittura e l’ospitalità. Dopo una lunga carriera come giornalista in Trentino, dove ha lavorato per vari uffici stampa, Pontoni ha deciso di cambiare vita durante il primo lockdown, trasformando un sogno in realtà: aprire un bed and breakfast tematico dedicato ai libri.
Il progetto, frutto di tre anni di ristrutturazioni, è in fase di completamento e dovrebbe vedere la luce entro la prossima primavera. Il B&B letterario non sarà solo un luogo di accoglienza, ma anche uno spazio dove poter organizzare corsi di scrittura, presentazioni di libri e letture. Ogni camera sarà ispirata a famosi titoli della letteratura, come Il Nome della Rosa e Cime Tempestose, creando un’atmosfera unica e coinvolgente per gli ospiti amanti dei libri.
Parallelamente a questa nuova avventura, Pontoni continua la sua attività letteraria. Il suo ultimo romanzo, “Tra noi uomini”, pubblicato dalla casa editrice Nutrimenti, esplora le complesse dinamiche di amicizia tra tre personaggi maschili, con una narrazione che si snoda tra Bolzano, Roma e altre destinazioni, come l’Argentina. Il libro ha ricevuto una calorosa accoglienza ed è stato selezionato per il prestigioso Premio Latisana, dedicato alle letterature mitteleuropee.
Con questo progetto, Pontoni unisce la sua esperienza di scrittore con un nuovo modo di vivere e condividere la sua passione per la cultura, offrendo un rifugio per chi cerca non solo un luogo dove soggiornare, ma anche uno spazio dove nutrire la mente e lo spirito.
Alessandro Beati è uno scrittore che merita grande attenzione per il suo contributo alla letteratura locale e per la capacità di evocare una storia ambientata più di 2000 anni fa vicino a Bolzano. Ex sindaco del comune di Varena dal 2005 al 2020, Beati ha deciso di intraprendere un viaggio nella scrittura, combinando le sue competenze storiche con una passione per l’archeologia e la narrazione.
Il suo primo romanzo, “Fethanei, l’approdo perduto”, è il frutto di tre anni di intense ricerche storiche e archeologiche. Ambientato nel I secolo a.C., il libro offre una ricostruzione dettagliata di un periodo cruciale per la zona a sud di Bolzano, in particolare intorno alla frazione di Laimburg, dove si trovava un’antica necropoli retica. La narrazione parte dai giorni nostri, per poi trasportare il lettore indietro nel tempo di quasi 2000 anni, ricreando l’ambiente storico con un’attenzione particolare ai dettagli culturali della popolazione retica, prima dell’arrivo dei romani.
Il romanzo è accessibile anche a chi non è esperto di storia, grazie a note e spiegazioni che aiutano il lettore a orientarsi nel contesto storico e geologico della regione. Beati riesce a unire la passione per la ricerca con un linguaggio narrativo coinvolgente, che ha già catturato l’interesse di molti lettori. Pubblicato principalmente su Amazon, il libro è disponibile anche in alcune edicole e librerie locali.
Attraverso “L’approdo perduto”, Beati non solo racconta la storia antica di Bolzano, ma invita i suoi lettori a riscoprire la propria terra sotto una luce completamente nuova.
Ho incontrato la designer Patrizia Bertolini, che espone attualmente presso la Galleria Antonella Cattani di Bolzano. Durante l’intervista, Bertolini ha raccontato il suo percorso creativo, spiegando come la passione per il design sia nata grazie all’influenza di Bruno Munari. Ha descritto il suo lavoro come strettamente legato all’artigianato, con un’attenzione particolare alla relazione tra materiali e persone. La sua nuova collezione esplora un approccio minimalista, con l’obiettivo di creare oggetti utilizzando il minor materiale e volume possibile. L’esperienza di esporre in una galleria è stata per lei affascinante, offrendo una nuova prospettiva sul pubblico e sul valore del design come forma d’arte.
Clicca sup tasto play per ascoltare l’intervista che Le ho fatto per la mia rubrica “Bolzano, racconti dalla città” per Radio Dolomiti, Trento
Il bello dell’avere una rubrica è quello di riuscire a dare continuità ad una linea. Mi piace (far) raccontare le proprie storie ai miei ospiti. Il limite sono sempre i tre minuti della rubrica “Bolzano, racconti dalla città” su Radio Dolomiti (cliccando il link, si accede alla pagina con gli mp3), anche se capita che ogni tanto mi riesca di far pubblicare le storie particolarmente interessanti anche sul freepress QuiBolzano, come nel caso di Benno Simma.
Interviste come quella a Benno fanno emergere il piacere che provo nel raccontare, anche se prediligo decisamente la radio. Benno era stato ospite mio e di Alois Pirone a La Musica Dentro, nel novembre del 2015,di cui è ancora disponibile la trasmissione (c’era anche la splendida Monika Callegaro).
La vita ogni tanto ti impone delle pause di riflessione, momenti in cui ti fermi, cerchi di tirare le somme e provi ad ascoltarti per capire cosa vuoi fare… A marzo 2020, quando il mondo si è fermato, come tanti colleghi ho anch’io smesso di fare radio in diretta. Ho trasmesso da casa e bene o male ho portato a termine la stagione de La Musica Dentro, la trasmissione in cui dal 2015 mi piaceva far parlare i miei ospiti della musica che li muove(va), quella dentro, da fruitori, prima ancora che da musicisti. A ottobre 2020, alla ripresa dalla stagione radiofonica non me la ero sentita di riprendere con le dirette, decidendo di prendermi un anno di pausa. E’ stato un anno in cui ha cominciato a farsi strada in me l’idea di una nuova trasmissione. L’assenza della radio dal vivo causa pandemia, mi aveva fatto considerare l’idea di riprendere a fare podcast (tipo questo). Avevo una idea di massima, che era quella di raccontare la mia città, ispirato dalle interessantissime interviste che avevo cominciato a fare per raccontare le storie del centro storico su Qui Bolzano, ma mancava una idea concreta, un format. Poi, un anno fa, una forte delusione mi ha portato a prendere le distanze dall’attuale gruppo di gestione di Radio Tandem. Una scelta dolorosa, considerato che la Radio, si, con la R maiuscola, dal 1986 è (era) parte della mia vita.
È passato quasi un altro anno. Un anno che ha portato la mia pausa di riflessione radiofonica a due – e la mia voce interiore a ricordarmi che ho bisogno di tornare a fare radio!
Poi succede che a forza di desiderare un’opportunità, questa arrivi. Arriva da una radio storica di Trento, che ringrazio, Radio Dolomiti, attiva dal 1975, una radio commerciale, che per me rappresenta una novità, a partire dal ritmo di trasmissione, molto più incalzante.
Dalla mia prova di trasmissione, la cosiddetta zero, sono passate diverse settimane, un tempo necessario ad affinare la tecnica e mettere a punto il contenitore. Che sarà piccolo: una rubrica di 3, massimo 4 minuti in cui concentrare una storia, cercando di dare voce alle persone, con le quali le interviste peraltro potrebbero durare ore. Una delle sfide più grandi sarà ricreare l’effetto radio dal vivo, che è una cosa sulla quale dovrò ancora lavorare. Intanto devo prendere le misure del nuovo formato, una cosa che succederà per gradi, un passo alla volta…
Tra i nomi che danno lustro alla città di Bolzano, da qualche anno c’è anche quello di Daniel Harrwitz. Nato nella prussiana Breslau, l’odierna Wroclaw in Polonia, Harrwitz è stato uno dei più famosi scacchisti dell’ottocento.
Tra il 1848 e il 1862, Harrwitz è al culmine della sua carriera e fa degli scacchi la sua via di sostentamento, chiedendo somme in denaro per giocare: sfidarlo, infatti, era motivo di orgoglio e stuzzicava la voglia degli appassionati. In molte sfide concedeva dei vantaggi agli avversari o giocava alla cieca, ovvero senza vedere la scacchiera e i pezzi, e tutto questo simultaneamente contro più giocatori. In questo periodo vive tra Berlino, Londra e Parigi, dal 1853 al 1854 pubblica un giornale sugli scacchi, la “British Chess Review” e nel 1862 scrive un libro dal titolo “Lehrbuch des Schachspiels”.
E’ il 2009 quando lo storico degli scacchi Luca D’Ambrosio scopre nel cimitero ebraico di Bolzano la tomba del maestro Daniel Harrwitz, morto a Bolzano nel 1884. Scoprendo la tomba, il suo ultimo domicilio in città (”Zollstange 173”, individuabile nell’ex Gasthof Rosengarten di via De Lai 2) e altre importanti tracce, D’Ambrosio ha ridefinito la biografia del grande scacchista, suscitando grande interesse a riguardo in tutto il mondo scacchistico.
Ma come si incappa in una storia così?
D’Ambrosio: “Gioco nel circolo Arciscacchi ormai da quasi 40 anni, ma da circa 15 ho cominciato ad appassionarmi agli aspetti storici della disciplina. Per più di otto anni mi sono concentrato a ricostruire la storia dei tornei internazionali di Merano svoltisi negli anni ’20 del secolo scorso, sfociata nel libro “Die internationalen Schachturniere zu Meran 1924 und 1926” (500 pagine, Edizioni Arci Scacchi Bolzano, 2014)
Nel corso di quegli anni un amico del circolo mi chiese se sapessi che a Bolzano era nato un importante scacchista, tale Daniel Harrwitz. Proprio non mi risultava, ma, incuriosito sono andato a cercare questo dato ed ho scoperto che su un libro c’era una informazione errata, mentre su altri compariva l’informazione giusta: Harrwitz non è nato, ma è morto (!) a Bolzano nel 1884. Per anni accantonai il pensiero, ma successivamente, influenzato dal filone di studi fatti sugli scacchisti del XIX secolo, mi sono messo a ricercare.”
“Mi ci sono voluti mesi per trovare una traccia: Harrwitz era morto di una malattia polmonare e questo mi aveva un po’ depistato, perché lo cercavo a Gries in luoghi di cura per malati di tubercolosi. Ma non ho trovato nulla. Grazie a Pater Placidus, l’archivista dell’Abbazia di Muri Gries sono approdato all’archivio parrocchiale di Maria Himmelfahrt a Bolzano, praticamente l’archivio del Duomo, dove nel libro dei morti ho trovato un riferimento che è stato molto sorprendente, in quanto la data di morte non combacia con quella che compare in tutti i libri, ma è di una settimana prima. Ma soprattutto l’anno di nascita differisce di due anni… a questo punto non restava che cercare la tomba. Finalmente nel 2009 ho trovato la colonna che reca inciso il nome di Daniel Harrwitz e soprattutto le date di nascita e morte, completamente diverse da quelle indicate nei libri, ma ora assolutamente certe. Quella di morte ha trovato ulteriore conferma da un giornale dell’epoca di Bolzano e invece la data di nascita è coincidente con quella indicata nel libro dei morti della parrocchia.”
Ma che tipo era Daniel Harrwitz?
“I maligni dicono che avesse un carattere ruvido e decisamente poco signorile nella sconfitta, ma bisogna ricordarsi che lui giocava per il pane ed è ovvio che vedesse nella scacchiera più di un semplice gioco, essendo uno dei pochi professionisti del suo tempo. Pensi che questo tratto caratteriale è stato sfruttato nel 2012 dallo scrittore goriziano Paolo Maurensig, famoso per il bestseller “La variante di Lüneburg”, che nel 2012 si è fatto ispirare dalla scoperta di D’Ambrosio per il suo romanzo breve “L’ultima traversa” in cui Harrwitz è uno dei protagonisti.
Il Museo di Scienze Naturali di via Bottai ha da poco aggiunto una stazione informativa sul lupo in Alto Adige alla preesistente sezione dedicata all’orso. Orso e lupo, due specie di animali selvatici che spesso vengono etichettati come problematici, spesso anche pericolosi. “In realtà – ci spiega Giulia Rasola, che insieme a Johanna Platzgummer ha curato i contenuti della postazione – si tratta spesso di una questione di percezione. Culturalmente siamo abituati a convivere con determinati rischi della montagna, siamo portati ad accettare il rischio di un incidente in montagna, o il fatto di poter essere morsi da una vipera. Conosciamo la situazione e ci attrezziamo al meglio per affrontarla.
Nei paesi in cui queste specie sono sempre rimaste presenti, penso per esempio alla Slovenia, la popolazione è abituata a conviverci (non ne ha timore) e ha mantenuto pratiche di difesa delle greggi altamente efficaci.
Dobbiamo comunque stare attenti a non confondere la situazione delle due specie. Mentre alla base della presenza dell’orso sin dagli anni 1999-2000 sono stati avviati dei programmi di ripopolamento della specie nei nostri boschi, con trasferimenti di orsi dalla Slovenia al Trentino, la presenza del lupo nei nostri boschi è naturale. Il lupo, che non è necessariamente un animale da montagna, non si è mai estinto ed in Italia si è ritirato nelle zone appenniniche del centro Italia approfittando anche del fenomeno dello spopolamento della montagna, soprattutto in Abruzzo. Poi, negli ultimi decenni, il lupo è risalito per l’Appennino fino in Liguria per poi cominciare a ripopolare le Alpi da Ovest in direzione Est.”
La stazione informativa ospita una riproduzione 1:1 della lupa denominata WBZ-F1, che vive in Val di Non e di cui gli studiosi riescono ad apprendere moltissime nozioni sul suo comportamento grazie al radiocollare di cui è provvista. La stazione è dotata di una postazione con “touch screen” che permette tramite dei giochi intuitivi di approfondire le conoscenze sul lupo tramite una serie di giochi educativi: riconoscere la differenza tra lupo e cane, conoscere i lupi ed il loro ambiente, la loro diffusone o il loro rapporto con l’uomo.
“Uno degli aspetti che approfondiamo – continua Giulia Rasola – è legato alla caccia e al gruppo famigliare del lupo. Un lupo solitario, come ad esempio un giovane in fase di dispersione, caccia prede più piccole come lepri o caprioli. La caccia di gruppo scatta solo nel caso di prede più grandi, come per esempio il cervo. Ma in ogni caso il lupo svolge un importante ruolo ecologico perché caccia soprattutto animali malati e debilitati.
Anche quando il lupo si muove in branco, è bene specificare che nelle Alpi questo è perlopiù formato da un gruppo famigliare formato dai due adulti e dai piccoli, talvolta anche dai fratelli nati l’anno prima
Spesso i lupi fanno notizia per quando attaccano e uccidono pecore. In realtà le statistiche evidenziano che, per esempio, nel 2019 le pecore hanno costituito solo lo 0,24 per cento della dieta dei lupi che popolano i boschi dell’Alto Adige. Il resto delle predazioni ha riguardato ungulati selvatici, prevalentemente caprioli o cervi. L’invito è quindi quello di visitare il secondo piano del museo dove le sezioni informative di orso e lupo sono inserite in uno spazio denominato “Ritorno sulle Alpi”, nel quale in futuro troveranno spazio anche altre specie autoctone di animali.
Quel che mi piace de La Musica Dentro sono gli ospiti appassionati. Voi non lo sapete, ma il 27 novembre torna a trovarci (me, Marco e Woody) Matteo Moretti. Lui è consociuto per i suoi corsi univeristari di visual journalism, ma averlo in radio con le sue passioni musicali, beh… merita!
Dua anni fa ci aveva parlato della sua passione per le colonne sonore dei film poliziotteschi (eh, imparo anch’io, cosa credete 😉 )
Il 27 novembre tornerà e sta già pensando alla scaletta. Attualmente sta ragionando su di una sequenza di musica africana elettronica. Visto che l’appetito vien mangiando, gli piacerebbe approfondire anche l’aspetto della musica delle seconde generazioni. E mi segnala questa bomba di Nubya Garcia
Gli ho poroposto di venire a trovarci due volte!!!
A due giorni dalla fine di Lucca Comics, fatico a trovare recensioni complessive sulla manifestazione.
Da neofita ho capito che per goderti Lucca Comics devi essere un appassionato vero: andarci da curioso sperando di trovare qualcosa che tocchi le tue corde, è tempo sprecato – e non solo quello.
Mi rendo conto che la mia possa essere una voce fuori dal coro. Il fatto è che tutta la manifestazione sia molto, anzi troppo autoreferenziale. Dovendo descrivere la situazione in maniera politically correct: gli organizzatori hanno (ampi) margini di miglioramento – a partire dalla segnaletica, dalle mappe (sarebbe utile distribuirne anche dentro le mura) fino al programma, soprattutto alla sua divulgazione. Sarebbe stata utile una app, ma forse sono solo abituato troppo bene…
Che il 3 novembre, un sabato, oltre che un giorno in cui la pioggia ha concesso una tregua, potesse esserci la ressa, ci stava. Leggo che sono stati strappati 60.000 biglietti… sono tanti. Dal punto di vista pratico, un numero così alto di entrate si traduce in interminabili code ai tendoni che, ad eccezione del padiglione Games, sono code a stand commerciali, che vendono prodotti. Tanto vale andare al centro commerciale! Francamente faccio fatica a capire come anche un nerd ci si possa appassionare… Poi è chiaro, c’è l’atmosfera, ci sono gli appassionati di cosplay che comunque sono in netta minoranza rispetto al visitatore curioso.
Sono rimasto deluso anche da quel che succedeva sul megapalco, in quanto tutto sembrava fatto per pochi, per quelli del giro. Se non fai parte di quel mondo, ci capisci poco. Ritengo che questa sia una grande mancanza: chi è sul palco di una manifestazione di riferimento a livello planetario deve (!!!) aiutare a dare delle chiavi di lettura allo spettatore neofita. In tutto questo, forse, sono stato solo sfortunato.
Se c’era qualcosa di interessante, beh, non me ne sono accorto. Delusione totale con tutti gli annessi e connessi.