Record Store Day – un anacronismo. o forse no

Oggi 16 aprile, ricorre il Record Store Day, la giornata dei negozi di dischi, luoghi che rappresentano una sorta di luogo sacro nei ricordi di chiunque abbia una collezione di dischi in vinile. In ogni collezione di dischi che si rispetti, ci sono dei vinili con una propria storia, legata a negozietti nascosti, bancherelle, concerti.
Nel 2011 può sembrare anacronistico dedicare una giornata al negozio di musica. Ieri ho letto che tra i padrini dell’iniziativa ci sarebbero Paul McCartney, Ozzy Osbourne e Bruce Springsteen; quest’ultimo ha annunciato qualcosa come “Enterò in un negozio di dischi e ne acquisterò per cinquecento dollari. Sostengo da solo ciò che resta del music business”. Ecco, se la citazione è corretta (presa da questo articolo a firma di Roberto Calabrò), statevene a casa…

Per me il vinile continua ad avere una sua importanza, ma ritengo anche che sia una questione anagrafica. Dubito che ai nativi digitali gliene possa fregare qualcosa. Non ho una gran opinione dei cofanetti e delle special edition. Nel mio piccolo mi piace l’idea di aver resistito all’ipotesi di privarmi del mio modesto archivio e quando mi capita di entrare nel negozio giusto o di sfogliare i dischi nei cartoni delle banane di qualche bancarella al mercato delle pulci, spero di trovare qualche chicca

Se penso al vinile, penso ai negozi di dischi di Bruxelles, penso alla copertina di Endtroducing di DJ Shadow o a High Fidelity di Stephen Frears, tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby. Il negozio di dischi come luogo di scambio culturale, dove confrontarsi sulle novità, cose di questo tipo. Nel mio caso e quella di molti compagni di avventura, questo ruolo l’ha ricoperto Radio Tandem, ma questa è un’altra storia…

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