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33 1/3 SPOT

Ebbene sì, hanno chiuso Megaupload. Nel caso di questo servizio le cose stanno un po’ diversamente rispetto al P2P. Però è un dato di fatto che gli spot raccolti per i 33 anni di Radio Tandem, caricati su Megaupload, non infrangono il diritto d’autore. Era semplicemente comodo averli lì, scaricabili ad una velocitè decente…

Cos’è 33 1/3 Spot (dal sito di Radio Tandem)

Marx? Karl o Groucho?

Verso la fine degli Ottanta venne addirittura preparato un elaborato di laurea al Dams di Bologna dedicato agli spot di Radio Tandem.

Effettivamente, senza saperlo, avevamo creato qualcosa di nuovo, quantomeno sicuramente di diverso.

Nell’ultimo anno dei Settanta, quando per riempire le tante ore senza programmi effettivi, decisi di far acquistare alla Radio un mitico registratore a bobine che trasmettesse musica, mi ritrovai a dover risolvere un classico problema: il nastro di una bobina – a velocità normale – poteva avere una massima durata di 6 ore: 3 per ogni lato. Ovvio che, almeno una volta ogni mezz’ora, sarebbe stato intelligente indicare all’ascoltatore cosa stesse ascoltando o – vista la jungla di emittenti che operavano in quegli anni – su quale frequenza fosse collegato. Cercando di lavorare con quella necessaria creatività che ci eravamo dati quale segno distintivo rispetto alle radio colleghe, scelsi fin dall’inizio la strada del non-sense partendo da un presupposto stupido: tutte le altre radio sparavano ogni tre minuti, l’ora esatta, il nome dell’emittente e – in caso – il titolo della trasmissione che stava andando in onda. Perché dare indicazioni così semplici e per certi versi idiote? Se qualcuno era sintonizzato sui nostri 98.400 MHz, perché ricordarglielo e perché – dato che la musica che stava ascoltando era una ponderata scelta di cose “intelligenti” (lo scrisse Saviane sull’Espresso in un articolo che presentava Bolzano, citando la radio innanzitutto per una scaletta musicale “tra le migliori dell’Italia contemporanea”) – interrompere un senso “culturale” di ascolto, dicendo l’ora esatta piuttosto che le condizioni del tempo (entrambi cavalli di battaglia di un modo di fare radio decisamente “americano”)?

Oltretutto avevo davanti il problema del fatto che quelle bobine avrebbero girato per giorni, mesi e anni senza dunque la possibilità di rendere il “tempo presente”. Oltre a dunque una colonna sonora che sarebbe dovuta necessariamente restare nel tempo, scelsi frasi assolutamente assurde, provocatorie, casuali, atemporali.

Credo che la prima, dopo i primi 5-6 brani registrati fu una cosa tipo “ma perché stai ascoltando Radio Popolare?”… buttata lì così, d’amblé, un po’ sinistra e paurosa, un po’ scema e un po’ no ma che avrebbe forse fatto tendere l’orecchio più che il solito rifritto jingle musicale con il coretto che canticchia il nome della radio e che molti a quel tempo verificavano quale simbolo di acuto professionismo.

Non eravamo forse brutti, sporchi, cattivi e di sinistra e senza tutti quei tacchi a spillo dalle voci incredibilmente uguali ed impostate che inondavano le moquette delle radio che, in quel tempo, contavano in città?

Dalla prima idea di ciò che allora non chiamavamo neanche lontamente “spot”, nelle bobine successive andai ovviamente incontro ad un logico lavoro di affinamento. In radio non avevamo un vero e proprio studio di registrazione affiancato alla sala trasmissione primaria, per cui o si lavorava di notte oppure si chiedeva aiuto. Lo trovai dagli amici dello studio Prisma, in qualche modo attrezzato sicuramente in modo più professionale e che, al tempo, produceva lavori di sonorizzazione e produzioni multimediali. Senza rompere le scatole, chiesi gentilmente le chiavi e gli orari in cui non avrei trovato nessuno. Lì con un semplice mixer, un buon microfono ma anche e soprattutto un minimo rack di effetti (unità di riverbero, eco e poco altro che nemmeno usai) e una piccola collezione di dischi di effetti sonori (a quel tempo li possedevano solo i rumoristi della Rai in storica eredità dei gloriosi studi londinesi della BBC), passai alla “fase due” o, in altre parole, un modo più serio di registrare quei piccoli interventi di pochi secondi che avrebbero trovato posto nelle famose bobine.

Funzionava. E gli ascoltatori ci fermavano per strada anche perché avevano riconosciuto un nuovo mondo di vivere radiofonicamente; anche dall’altra parte del microfono e delle antenne.

Collateralmente all’idea in nuce degli spot, cominciai a produrre anche dei “richiami” per presentare e lanciare le trasmissioni del palinsesto. Una novità assoluta alla quale nessuno aveva ancora pensato, mentre oggi è un reale “must”, specialmente televisivo.

La Radio, a cavallo fra la fine dei Settanta e l’inizio degli Ottanta, stava intanto vivendo un importante momento politico che sfociò nel fondamentale incontro con il movimento verde-alternativo di “Nuova Sinistra – Neue Linke”, guidata (dal 1978 e per tre legislature, nelle sue varie evoluzioni) da Alexander Langer. Rimando gli interessati agli importanti scritti che raccontano la nascita del periodico Tandem e della trasformazione della rionale Radio Popolare in quella Radio Tandem che – anche a livello radiofonico – celebrava la volontà di due culture di pedalare insieme e non contrapposte come sembrava avere voluto la storia post-bellica di questi territori.

Avevamo dunque innanzitutto e fondamentalmente una vera e propria redazione. Nella sede della piccola casettina a due piani di via Lungo Isarco, Tandem era un piano superiore con una sala riunioni redazionale e un piano inferiore con due piccole stanzette nelle quali viveva la radio.

Fu in occasione del censimento del 1981 e delle vicine tornate elettorali per provinciali e comunali che i giochi diventarono seri e che la radio espresse un primo importante momento di raccolta sociale.

Durante una riunione diventata poi storica, nella quale si sarebbero dovute prendere decisioni importanti per il futuro della parte radiofonica del progetto Tandem, Alex prese la parola per illustrare, fra il resto, anche il modus operandi di Radio Radicale. La sua idea, mutuata da quella di Marco Pannella, era anche quella di trasformare la radio in uno strumento di pura campagna elettorale, una sorta di importante e qualificato megafono delle idee base che guidavano il movimento cittadino di allora. Istanza sicuramente buona per certi versi ma che avrebbe però spostato il baricentro del progetto. Ci sarebbe da fermarsi e scrivere pagine a riguardo ma, per brevità, diremo dunque che si trattava – in nuce – di potenziare il giornale, trasformando la radio in un giornale da ascoltare. Dirette parlamentari, trasmissioni fiume in filo diretto con gli ascoltatori specialmente nei periodi di campagna elettorale e via di conserva. Si trattò dunque di scegliere. Presi la parola e, appoggiato da Dominikus Andergassen, Marco Trentin e Antonio Vaccaro, difesi invece una linea più “artistica” della scelta radiofonica e con un prolisso intervento, conclusi alla fine che accettando la proposta, si sarebbe sì vissuto qualcosa di certamente importante per tutti, ma che – allo stesso tempo – avremmo dovuto prepararci ad abbandonare un’idea di radio diversa che stavamo invece perseguendo anche grazie alla musica scelta in modo alternativo e ad altre trasmissioni che nessun palinsesto delle radio concorrenti, almeno in città, stava ospitando.

Dato che di lì a qualche mese ci sarebbero state delle elezioni comunali, decidemmo salomonicamente per una via che avrebbe forse accontentato le due posizioni, scegliendo così il primo vero momento di impegno “totale” (il secondo sarebbe avvenuto circa dieci anni dopo con l’importante esperienza  di Umberto Gay di Radio Popolare di Milano che guidò la costruzione di una nuovissima redazione), ove redazione giornalistica e redazione radiofonica si fusero e collaborarono alla stesura di un palinsesto ricco di ogni tipologia di sociale radiofonico.

E giocoforza, visto che la Radio (qui è necessaria la “R” maiuscola) aveva accettato di vivere anche “creativamente” ed “artisticamente”, i semplici “richiami” di ascolto si trasformarono in qualcosa di più importante e denso. Non fu necessario cercare per forza altri “addetti” alla parte creativa. Per una sorta di naturale accadimento, alla fine di una classica dura giornata, ci si ritrovava alla sera con la voglia anche di divertirsi insieme. Così, alle tre del mattino di una fredda giornata autunnale, alla fine di una classica riunione generale, mi misi al mixer e approfittando di un’ora in cui sicuramente non ci sarebbe stata molta gente all’ascolto, incominciai a mandare musica dal ritmo sostenuto recitando alla fine di ogni brano trasmesso una sorta di giagulatoria che metteva insieme uno dopo l’altro tutti i vari “comunicati” precedentemente sparsi nelle famose bobine. Dal piano di sopra partirono applausi e risate e dopo pochi minuti, una decina di persone era intorno al microfono a sparare cazzate alla maniera forse dell’Arbore di Alto Gradimento e dunque ben prima dei successi di “Quelli della notte” o di “Indietro tutta” che sarebbero arrivati di lì a poco. In quella notte naque il primo vero spot collettivo. Quel “Una Radio di movimento”, testimoniato anche sul CD che raccoglie alcuni fra gli spot storici della Radio. La fortuna fu quella di avere la possibilità di fare un casino indemoniato alle tre del mattino. La casa di via Lungo Isarco era fondamentalmente isolata, lontana da altre abitazioni e quindi, nove persone che marciavano a ritmo di parata militare sbattendo con forza i piedi all’unisono sulla lunga scala in legno che collegava la radio alla stanza delle riunioni, non sono state un problema.

Da lì in poi il diluvio. Ogni venerdì sera, alla fine delle due-tre ore di discussione accesa, il dottor Jeckyll in noi si trasformava nel più docile ma iconoclasta Hyde, traducendo forse nel suo più perfetto ed originario significato il famoso motto del maggio francese “je suis marxiste de tendence Groucho”.

Gli spot e il conseguente “gruppo spottivo” (praticamente tutta la line-up della Radio con pochissime eccezioni) erano diventati una cosa tremendamente seria; da lì a breve, peculiare caratteristica di una Radio che attorno al collettivo era divenuta un punto di aggregazione importante per molte menti della città.

Un calembour di razze, colori, umori e tematiche decisamente psichedelico dove, alla stregua del futuro Blob televisivo, si riusciva ad inserire un mondo in uno stacchetto di parole e musica di pochi secondi.

Molto pop. Ai Beatles sarebbe piaciuto.

Vittorio Albani

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